L’arte non è necessaria alla sopravvivenza, ma proprio per questo è di estrema importanza per sopravvivere: intervista a Stefania Vichi

Stefania Vichi è un’artista di origini umbre, classe 1986. Si dedica all’arte da alcuni anni, ma ha le idee molto chiare e ha già riscosso successi, facendosi notare nel panorama artistico nazionale e non solo.

Ecco la sua intervista rilasciata a Il salotto dai colori infiniti.

In cosa pensa risieda la bellezza dell’arte?

“L’arte è legata inscindibilmente alla bellezza, nelle multiformi sfaccettature che essa possa assumere. La bellezza infonde nello spettatore uno stato mentale di grazia, di benessere, una spinta emotiva propositiva verso l’alto, che ingentilisce l’intelletto costruttivamente. L’arte aiuta a migliorarsi e migliorare ciò che la circonda. Non è un caso che nella storia tutte le civiltà abbiano “investito” in arte.
Platone riteneva che la Bellezza esistente nel mondo fosse copia della bellezza ideale, in grado di accendere il desiderio e di condurre l’uomo alla verità e al sommo bene. Il desiderio di Bellezza spinge dunque l’ascesa dell’uomo verso la sapienza autentica. “Solamente la Bellezza ricevette la sorte di essere ciò che è più manifesto e più degno d’amore”(Platone, Fedro, 250c 8- e).
La “Bellezza” è l’arma precipua dell’arte. Tale Bellezza, proiettata nel coevo, non è certo “bellezza ideale di matrice greca”, né refuso puramente estetico: è anzi “bellezza mutevole”. E’ luci ed ombre; ferita e cura, dispetto, insegnamento; mite, travolgente; soave, irruenta… E’ la bellezza “apollinea” e “dionisiaca” di Nietzsche: serena, ordinata e misurata, ma anche selvaggia, conturbante, folle e pericolosa, priva di ogni schema.
Rimane il fatto che di qualsivoglia colore sia tinta e in qualsiasi modo essa sia descritta, la “Bellezza” non è mai ignorata. Ecco la sua potenza, la sua incontenibile forza che diventa arma dell’arte. Chiudiamo gli occhi all’orrore, ignoriamo il noioso, ma ci incantiamo ad ammirare il bello in qualunque forma sia proposto. È nella natura degli uomini.
L’arte, pertanto, non è e non deve mai essere fine a se stessa, mai un argomento di nicchia da salotto, bensì protagonista indiscussa in prima linea di ogni tempo, attraverso la potenza della bellezza. La bellezza è dunque sollecitazione dell’uomo, e poiché visibile, permette di saldare il sensibile con l’intelligibile, diventando veicolo di ascesa, stimolo di crescita, punto di riflessione.
Nelle mie opere invito proprio lo spettatore a “nutrirsi” della bellezza, a compiere appunto dei “caricamenti d’arte”, con la serie LOADING ART, delle “trasfusioni di vanitas” contro i Savonarola del nostro tempo, nella convinzione che la sensibilità artistica sia insita in ognuno di noi, ma solo affievolita da routine quotidiane che spezzano quel nutrimento che invece, la storia ricorda, è sempre stato una delle priorità di tutte le civiltà, specialmente quella italiana. “Amate l’arte per sé, e allora tutte le cose che vi occorrono vi saranno concesse. Tutte le grandi civiltà hanno professato questo culto per la bellezza e per la creazione di cose belle; per esso la vita di ogni cittadino diventa un sacramento e non una speculazione” (Oscar Wilde).
Molte delle produzioni contemporanee sono concentrate ed incentrate su critiche del nostro tempo fini a sé stesse, senza concedere spiragli di soluzione o di riflessione. Considerano il bello superfluo o appartenente al puro design e si preoccupano di coinvolgere lo spettatore nel disagio. Quasi come se il “mal comune” dovesse provocare “il mezzo gaudio” per rendere l’opera interessante. Ne esce una visione macabra dell’Arte, privata della sua “arma” di bellezza e della sua potenza propulsiva e propositiva. Un buco nero dal quale è impossibile uscire. “La crisi” diventa semplicemente ancora più crisi, ancora più irreversibile, un flusso distruttivo senza uscita.
L’arte non è “disagio”, non è stasi. L’arte può attraverso l’arma di bellezza creare disagio e riflessione, ma è un movimento dinamico, non stagnante. È un flusso, una danza portata in scena in teatri diversi, con l’interpretazione dei coreografi creatori dello spettacolo”.

Ritiene che l’arte possa avere il potere di creare coesione tra le comunità, riducendo le discriminazioni sociali?

“Siamo tutti nudi davanti all’arte, tutti immancabilmente uguali, e l’arte è pronta a vestirci di meraviglia e stupore, a spogliarci del maligno per indossare il bene, a toglierci il velo del banale per coprirci di originali virtù. Uno dei miei progetti, “Dress Art”, esprime esattamente questo concetto: delle sculture dalla forma di bustiers dietro i quali porsi per essere “rivestiti d’arte”, affiancate al progetto fotografico che porta lo stesso nome. E’ un invito a calzare un segno d’arte, a trasformarsi, lasciandosi trasportare dal piacere dell’Arte. Nella foto una cornice barocca umana in cui i corpi nudi dal volto coperto incorniciano lo stesso corpo rivestito dal bustier scultura: l’arte è pienamente democratica, “riveste” chiunque voglia indossarla, senza distinzioni, ecco perché il volto coperto, basta spogliarsi dei propri limiti e pregiudizi ed essa è pronta a ricoprirti di virtù”.

Con quale materiale ritiene di avere maggiore familiarità per le sue opere?

“Le mie opere sono per lo più plasmate con tessuti e resine. Utilizzando questi materiali le pittosculture si animano. Un flusso statizzato dalla rigidità della scultura, ma che agli occhi dello spettatore continua inarrestabile, come un moto sotteso. Le opere infrangono i margini della tela, bypassando i confini che la delimitano. Un processo sartoriale di “art-couture” in cui i panneggi rievocano virtuosismi scultorei barocchi. Il movimento sinuoso cattura la mente dello spettatore creando chiari e scuri, vuoti e pieni, un contrasto dalla teatralità barocca senza tempo. Ma non sono i soli materiali utilizzati, mi diverto a sperimentare senza pormi freni, alla scoperta di nuove tecniche: nelle ultime produzioni, dal Plexiglass alla resina pura, dalla schiuma poliuretanica ai pannelli fonoassorbenti…non c’è limite alla poesia che si può trovare nei materiali”.

Quanto contano i colori per lei?

“I colori diventano esplicativi, soprattutto nella serie Lex Italica.
In Lex Italica l’insegnamento della storia viene trasmesso proprio come modo nuovo di comportamento per coloro che hanno a cuore le cose d’arte. Le virtù umane sono le uniche ad essere incoraggiate per intraprendere una via d’uscita in tempi bui, e attraverso i colori ho individuato alcune fondamentali famiglie storiche rinascimentali italiane la cui grande intuizione fu quella di sostenere i Geni (gli artisti) nelle loro creazioni: dai Medici nel viola di Firenze, ai Borgia a Roma con il rosso sanguigno che ricorda quella loro storia densa di passione carnale e violenza; dagli Sforza di Milano, con la patina nera e sfere dai colori brillanti che nel suo glamour anticipa quella che sarà in futuro la capitale della moda e del design, ai Borbone nell’oro pienamente barocco di Napoli nella sua opulenza creativa. È il trionfo del colore e della forma, in una parata luccicante di drappeggi e simboli che le pittosculture evocano mediante proprio l’utilizzo delle diverse cromie”.

Ci parli delle emozioni che accompagnano l’esposizione di due sue opere a Dubai

“Emozioni purtroppo veicolate da sole foto e video a distanza: data la pandemia non è stato per me possibile raggiungere le opere, ed è strano sapere che una “parte di te” se ne va in giro per il mondo quando tu sei bloccato a casa. È un senso di impotenza mista sicuramente ad orgoglio”.

Dove le piacerebbe esporre in futuro?

“Ci sono luoghi in cui è bene andare nel prossimo futuro per la propria carriera artistica, perché hanno più possibilità di ricezione mediatica e lavorativa. Sto parlando di Milano, Venezia e Miami, fiori all’occhiello per l’arte contemporanea. Altrimenti, al di là di questa “impellenza” tutta l’Italia è un palcoscenico storico sul quale entrare in scena, in una perfetta commistione tra antico e contemporaneo”.

Vivere d’arte è una sfida difficile. Secondo il suo parere, in che modo la si potrebbe vincere?

“I giorni del confinamento fisico ci hanno reso consapevoli che nulla sarà come prima, e il fatto che solo prendendosi cura dell’altro si possa salvare se stessi, ha innescato una sorta di principio di solidarietà di fronte ad eventi speciali. E’ importante capire cioè che tutte le rinascite dopo le grandi epidemie sono rinnovamenti, rinascenze formali, estetiche, ma soprattutto etiche, di regole di vita, morali, che hanno spesso dettato le linee guida anche per le più alte innovazioni nelle espressioni visive. Rinascenze di un qualcosa che non è assolutamente necessario alla sopravvivenza, come l’arte, ma proprio per questo di estrema importanza per sopravvivere. È l’arte intesa come bene comune, un bene con il quale noi in Italia, che possediamo il più grande patrimonio culturale al mondo, ci siamo nutriti e continuiamo a nutrirci non solo con gli occhi. Ecco che allora l’invito è LOADING ART, carichiamoci d’arte considerando l’arte un bene essenziale come altri nel quale credere e investire, proseguendo quella tradizione artistica che i nostri padri ci hanno consegnato. Se ad esempio Lorenzo il Magnifico non avesse creduto ed investito nei suoi contemporanei come Michelangelo e Botticelli (solo per citarne alcuni) non avremmo avuto le meraviglie che ci circondano oggi. Il Rinascimento promosso da Lorenzo il Magnifico è solo uno dei gloriosi e fulgidi esempi storici di devozione all’arte e alla bellezza come mezzo di crescita. I Medici nutrivano l’intuizione umana, consapevoli che essa era la più grande forma di investimento esistente. Coltivavano il genio; promuovevano la sua diffusione per ispirare tutti i popoli. Ed è un modello sempre attuale, un esempio sempreverde di acume di estrema semplicità ed attuabilità. Investiamo in arte, ignorarla o ritenerla superflua o argomento di nicchia equivale ad ignorare il nostro passato”.

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